di Antonio Papania
LA FOCOSITÀ E LA RIPRODUZIONE del Carpodaco Messicano
IL CARPODACO MESSICANO (Carpodacus messicanus) è "caliente, irruente e focoso". Ultimamente è il più allevato uccello del genere Carpodacus, per il fatto di essere robusto, longevo e prolifico.
Viene anche chiamato “Ciuffolotto messicano", anche se non fa parte del genere Phyrrula o Pinicola.
I Carpodachi si dividono in 21 specie che hanno in comune il lipocromo del piumaggio che va dal rosa, al rosso ed al rosso porpora. Il Carpodaco messicano "raggiunge" il piumaggio definitivo dopo la prima muta, mentre gli altri Carpodachi dopo la seconda.
E' lungo circa 15 cm. Il primo aggettivo che ho usato per descriverlo è “robusto”. La sua robustezza si evince dalla testa forte e massiccia. Il collo è corto. Il becco è conico, corto e potente, il che gli permette di cibarsi nelle stagioni di transizione delle granaglie dai gusci più duri. In natura il Carpodaco cerca, al suolo e nei cespugli, afidi, larve di insetti, bacche e semi prativi in genere.
Ha gli occhi grandi, svegli e rotondi. Le spalle sono larghe e formano con il dorso arrotondato un tutt'uno con la linea delle ali. Il petto è arrotondato e privo di stacchi. La coda è stretta, leggermente lunga e forcuta tanto da essere la continuazione del corpo.
Il dimorfismo sessuale è evidente: la femmina è più disegnata del maschio e in alcuni casi manca del lipocromo, mentre in altri questo è presente sul codione ed al centro del petto.
Vediamo nel dettaglio.
I giovani hanno un piumaggio molto striato, simile a quello delle femmine.
Il maschio presenta il colore rosso in fronte e nei sopraccigli, nella gola, nell’”alto” petto e nel codione. Le zone dove si manifesta il lipocromo devono essere nette e delimitate. Il rosso è brillante. Il disegno melanico si presenta regolare e continuo.
Nella femmina, le virgature devono essere presenti in maniera diffusa e uniforme dalla gola al ventre, nelle parti inferiori e su quelle superiori dalla fronte al codione.
Il colore del piumaggio di un fringillide dipende dal colore dei pigmenti contenuti nelle penne (melanine e lipocromo) oltre che dalla struttura della penna stessa che, provocando la diffrazione della luce, dà origine ad un colore che non è “chimico”, ma “fisico”.
Mi soffermo brevemente sull’argomento, ed in particolare sulle "melanine".
Le melanine si trovano sulla corteccia delle penne e si dividono in eumelanina (nera o bruna) e feomelanina (bruna).
Sul mantello del Carpodaco sono presenti l'eumelanina nera e la feomelanina. Queste, combinandosi tra loro, danno origine ad un colore di fondo ruggine e ad un disegno marrone scuro.
L'unica mutazione ufficialmente riconosciuta e disciplinata da uno standard è quella feomelanica, che riduce completamente le eumelanine, perciò l'unico pigmento melanico residuo è la feomelanina, che alla sua massima espressione è color ruggine. Riducendo le eumelanine le unghie ed il becco appaiono più chiari e l'occhio diviene rossastro. Così facendo il feomelanico avrà un lipocromo più brillante nelle zone d'elezione e un colore beige diffuso su tutto il corpo con orlature color ruggine nelle ali e nella coda.
Negli ultimi anni sono state fissate diverse mutazioni di colore su questo fringillide: feomelanico (o rubino), torba, diluito, opale e la più recente topazio diluito, tutte autosomiche recessive.
Il Carpodaco Messicano ha nell'America settentrionale due suoi cugini, anche loro a fattore rosso, così come tutti quanti i Carpodachi esistenti in natura, che nella loro principale estensione popolano fondamentalmente la zona asiatica centrale. Questi due Ciuffolotti americani sono il bellissimo Carpodaco di Cassin ed il più colorato Carpodaco Purpureo, entrambi difficilmente reperibili.
Il nostro Carpodaco Messicano ha inoltre dieci sottospecie tutte distribuite nell'Asia centrale e precisamente: centralis, griscomi, potosinus, coccineus, rhodopnus, ruberrimus, amplus, macgragori, clementis e frontalis. Si trova con grande facilità sul mercato anche perché ormai da molto tempo è riprodotto in cattività senza grossi problemi.
In natura, il Carpodaco Messicano, come dice la stessa denominazione, ha il suo habitat nei paesi dell'America centrale ed è abbastanza presente anche negli Stati Uniti, spingendosi fino all’interno del Canada.
Si adatta senza problemi sia alle zone aride che a quelle costiere, passando per quelle boschive, con la conseguente diversa alimentazione dovuta alle differenze climatiche dei diversi areali.
Spesso nidifica nei centri abitati, parchi o giardini, e questo grazie anche alla sua capacità di riuscire ad adattarsi a qualunque superficie per la costruzione del nido.
Consiglio agli allevatori alle prime armi di incominciare ad allevare il Canarino e successivamente il Ciuffolotto Messicano.
In natura il maschio delimita il territorio cantando e aggredendo chiunque si avvicini. Le femmine, una volta formata la coppia, scelgono il luogo dove costruire il nido che può essere un cactus, un cespuglio, una conifera, una crepa, ecc. La coppa viene realizzata con erbe secche all'esterno, mentre all'interno sono inserite piume e varie fibre soffici.
In cattività è bene mettere attorno al nido dei rami per far sentire la coppia in natura e per proteggerli da occhi indiscreti. È altresì opportuno lasciare a disposizione della femmina juta, lanuggine ed altri simili materiali.
Mi preme precisare che alloggiare assieme un maschio e una femmina non significa avere una coppia. Per arrivare alla “coppia” è necessario che i due soggetti raggiungano un ottimo livello di affiatamento. Per questo motivo consiglio di acquistare sempre soggetti giovani, di unirli con anticipo rispetto alla stagione riproduttiva e di fornire il nido solo quando si nota il giusto affiatamento.
Spesso i maschi raggiungono la maturità sessuale più tardi delle femmine. Per questo molte volte alla prima covata non si ottiene prole. Se il problema continua, allora o il maschio non si accoppia correttamente oppure la femmina è sterile. In questo caso la coppia va separata, e si potrà così capire, formando nuove coppie, quale dei due “volatili” non è idoneo alla riproduzione.
Per quanto riguarda i nidi, si possono usare sia quelli da interno che da esterno, ma io preferisco usare i primi, da schermare con dei rametti di tuia. La tuia, ho notato, impiega del tempo prima di seccare e i nostri “amici” non la sporcano di feci velocemente.
Disinfetto i nidi ogni due settimane per evitare parassiti fastidiosi sia per i riproduttori che per gli eventuali piccoli. La nidificazione è una cosa molto affascinante da seguire. Incomincia tutto con il canto del “focoso” maschio, poi avvengono i soliti litigi e dopo un paio di ore avviene la copula. Dopo la coppia comincia a portare con il becco il materiale per il nido. Il maschio collabora alla sua realizzazione, ma sarà solo la femmina che lo disporrà adeguatamente, lavorando a lungo e con impegno, con una ricca imbottitura per giungere, alla fine, ad un nido rozzo. In seguito la femmina si mette sul posatoio leggermente piegata in avanti con le ali cadenti e la coda spostata, per invitare il maschio. E vai……il Don Giovanni si precipita!
Le copule sono ripetute più volte al giorno.
Di norma le femmine depongono 4-5 uova di colore azzurro chiaro con delle macchie bruno-scure sul polo maggiore.
A 5-6 giorni si fa la speratura dell'uovo. Se non è stato fecondato, apparirà sempre come al primo giorno di cova, anche dopo due settimane è possibile distinguere il tuorlo, non c'è traccia di piccoli vasi sanguigni e il colore è chiaro.
L'uovo fecondato avrà invece il tuorlo non più ben distinguibile, potrà presentare una zona più scura di un arancione intenso e a volte rosso. Spesso si possono distinguere i vasi sanguigni. Dopo 14 giorni di cova, i piccoli nascono e sono alimentati in natura con prede vive e semi immaturi mentre in cattività io uso somministrare scagliola, perilla, erbe prative, lattuga bianca e sesamo. In due contenitori a parte metto della canapuccia bollita ed il pastone. Si svezzano dopo circa un mese.
Visto il carattere irruento del maschio, è buona norma separarlo dalla femmina durante il periodo della cova e specialmente durante la deposizione delle uova, in quanto molti maschi hanno la cattiva abitudine di forarle. E' bene separarlo dalla femmina la sera, per poi rimetterlo insieme dopo che questa abbia deposto l'uovo nel nido. Con questo metodo avremo 2 benefici:
1) Salveremo la covata.
2) Potremo mettere il maschio con più femmine della stessa specie (o di specie diversa per ottenere una prole ibrida).
Ribadisco che la femmina, dopo aver costruito un rozzo nido, una volta deposte le uova non manifesta alcuna necessità di avere accanto il suo partner, e pertanto cominciata la cova, non la abbandona.
La durata della cova, come precisato prima, è di 14 giorni. Prima però di dire che la covata è fallita bisogna aspettare altri 2 giorni.
Io allevo in batteria, in quanto la coppia non viene disturbata da altri uccelli, ottenendo così sicuri vantaggi durante le fasi di preparazione del nido e dell’allevamento dei piccoli.
Se ci sono dei nidiacei in difficoltà bisogna integrare con imbeccate allo stecco, fornendo una “pappa” liquida che va resa più densa man mano che crescono e che deve essere ricca di proteine e di vitamine, ma allo stesso tempo digeribile. La pappa da utilizzare per l’allevamento artificiale può essere la più varia. E’ evidente che se il piccolo non ha ricevuto alimenti per diverse ore, le prime imbeccate dovranno essere piuttosto liquide per reidratarlo. Allo scopo va bene della mela frullata unita all’albume di un uovo sodo e ad un biscotto pavesino. Per le imbeccate successive si potrà usare il pastone inumidito con latte o succhi di frutta (se c’è caldo la pappa va conservata in frigo). Se non avete tempo potete comprare direttamente i preparati commerciali per nidiacei. In questo caso la “pappa” si ottiene mescolando con acqua calda a temperatura di 20-25 °C (seguire comunque le istruzioni del produttore).
Per l’allevamento allo stecco viene usato il pennellino di peli di bue tipo “0” o “1”, oppure lo stuzzicadenti rompendone l’estremità o la siringa modificandone la punta (i materiali utilizzati devono essere sempre sterilizzati). Occorre somministrare minimo tre imbeccate quotidianamente. Il resto lo faranno i genitori (occorre non far loro perdere l’istinto alla nutrizione). L’allevamento (esclusivamente) allo stecco deve essere adottato solo in casi disperati come per esempio l’abbandono del nido o la morte dei genitori (in questo caso bisogna alimentare la prole ogni tre ore). Se i nidiacei sono abbandonati è necessario adagiarli in un nido artificiale coprendolo con un panno, ponendolo sotto ad una lampada accesa a circa 15 cm di distanza (attenzione in ogni caso alla temperatura che si sviluppa – occorre verificare caso per caso).
La femmina di Carpodaco è diffusamente usata come balia per le specie ad alimentazione parzialmente insettivora, in quanto è un’ottima nutrice ed ha nel tempo conquistato il ruolo di balia per eccellenza, in particolar modo per gli allevatori di fringillidi, e ciò per la sua tendenza naturale a cibarsi un po' di tutto e, specialmente nel periodo della riproduzione, di prede vive (apportatrici di proteine animali importantissime per la crescita di alcune specie di uccelli che, soprattutto nei primi giorni di vita, si cibano prevalentemente di insetti).
Un accorgimento per aiutare la femmina a nutrirsi del cibo animale (larve di tarme della farina, bigattini ecc.), è quello di fornire gli insetti tagliuzzati e se possibile mischiati nel pastone o nell'alimento comunque più gradito.
Va bene anche la somministrazione delle larve scottate per qualche minuto in acqua bollente.
Esistono anche delle femmine di Carpodaco che sono pessime nutrici o addirittura con un temperamento così nervoso da non tentare neanche la costruzione del nido. A me però non è mai capitato.
Chiaramente tali soggetti, anche se di buona fattura, dovranno essere scartati dai piani riproduttivi, perché si dovrebbe ricorrere all'utilizzo di balie e tutto questo complicherebbe non poco la gestione dell’allevamento.
Quando, invece, si ha la fortuna di avere una femmina brava nutrice, allora solo abituandola a cibarsi sia di alimentazione per insettivori che granivori si arriverà ad ottenere ottimi risultati, divertendosi.
Stesso discorso vale per il maschio che, a volte, è docile come una canarina. In questo caso sarebbe un grave errore privarsi di un “balio” per eccellenza.
A proposito d'ibridazione, il nostro Carpodaco, caldo e versatile amatore, riesce spesso ad ammaliare la compagna che gli viene proposta, anche se di altre specie.
Che playboy!
Il Messicano riesce a dare ibridi con quasi tutte le femmine di fringillidi. Per l'ibridazione è preferibile usare i maschi, a causa dell' alta percentuale di uova feconde che riescono a dare, il che dimostra peraltro la buona compatibilità genetica con quasi tutti i fringillidi. Questo "seduttore" si adatta, infatti, alle posizioni di copula richieste di volta in volta dalla partner di altre specie. La femmina di Carpodaco, invece, è generalmente scartata per l'ibridazione proprio perché mantiene una posizione di accoppiamento parallela al posatoio.
L’alimentazione che somministro è la seguente:
Scagliola bianca 40%
Perilla bianca 20%
Lattuga bianca o Cicoria 10%
Girasole nano 5%
Canapa 5%
Panico rosso 5% ( in quanto più digeribile)
Miglio giallo e rosso 5%
Chia 5%
Erbe prative 5%
Occorre fornire frutta e verdura almeno due volte a settimana.
Come per tutti i fringillidi, non devono mancare il grit e l'osso di seppia.
Il pastone deve essere secco, con i lipidi tra il 3 e il 5%.
Durante il periodo di cova, fornisco metà pastone secco e metà pastone morbido.
Ai piccoli intorno ai 40 giorni occorre fornire del colorante (solo prodotti di alta qualità per ornicoltura) nel pastone per ottenere il rosso caratteristico.
Alimentazione durante la muta:
Scagliola bianca (Canadese) 70%
Perilla bianca 20%
Sesamo 5%
Erbe prative 5%
Semi germinati a giorni alterni, come frutta e verdura, pure a giorni alterni.
Pastone sempre a disposizione.
L'acqua deve essere sempre fresca.
Occorre aggiungere sali minerali e vitamine nel pastone o nell’acqua.
Durante tutto l’anno, per due volte a settimana, nell'acqua occorre inserire aceto di mele: 3 ml per litro.
L'acqua, così trattata, acquisisce una leggera acidità che la rende benefica per la salute dei nostri uccelli.
Per la carenza di minerali, bisogna aggiungere anche 5 gocce di “tuttosali” ogni litro d'acqua. Una volta che l'acqua é stata così preparata, al momento della sua somministrazione possono essere aggiunti i prodotti vitaminici preferiti.
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